Come Egeo costretto in ariballo

e liburne in irridente àlea, tabe

di viéte contese, trame vissute,

simulacri di indarno agone,

così artieri crocidano in coro,

trissottini dileggiano Erato.

Della skena re-citanti vanesi,

anelano immeritati clamori.

mercoledì 12 agosto 2015

Senilità

                                             La muffa del tempo
                                             ha ormai invaso i ricordi.
                                             Neri licheni avviluppano gli anni
                                             e vago rimane un rancore, sopito.
                                             Lento scivola un gozzo,
                                             spinto a fatica
                                             nella palude del giorno.





Oscurità


Muto, guardo lo specchio

da qui, che non mi vedo.
Non gli passerò davanti.
Ad occhi bassi scanso
anche la luce. Poi lesto
rasento guardingo le alte pareti,
e come blatta notturna
guado la stanza, al buio,
sfuggendo ansante la vita.
Osservo dal basso
questa pletora umana.
Vacue esistenze
in assedio perenne,
deliranti di quotidiano potere,
empi di orgoglio divino,
instancabili metastasi
destinate al dolore.
Tutte egualmente inutili.





De cuius


Lo veglia, ai piedi del letto,

il suo cane, fermo col muso
per terra e il respiro breve:
sta a guardia del tempo,
che intanto scivola invano
sulla fissità di quel corpo.

Non sente il tanfo dei fiori
nel vestito più bello; ammantato
di falsi merletti e sintetiche sete,
si adatta impotente alla cassa.
Solo la smorfia dell'ultimo istante,
appena corretta, guasta la posa.

Si sfila, borbottando preghiere;
il silenzio sussurra sottili paure.
Cala un velo alle spalle dei vivi,
svaniscono scene e costumi;
maschere flosce son sparse per terra
e non si hanno più panni d'eroi.

Il bagliore dei ceri
sospende le ore, stanotte.
Resto io ed il cane,
ad annusare la morte.

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